Dopo aver visto La vendetta di Salazar, sono corsa a sentire che ne pensava VictorLaszlo88. La sua recensione mi ha fatto venire voglia di rispondere, quindi vi dirò la mia in un palloso e lunghissimo intervento. Ma non sono brava come lui a dare un parere senza fare spoiler, quindi siete stati avvertiti.
Il mio bisogno di evasione dal mondo ha sempre trovato sazietà nelle leggende dei pirati, e tutto è nato da Pirati dei Caraibi. Per una con una fervida immaginazione quale sono io, è come una vita parallela. Romanzi, pellicole, i miei stessi racconti, attraverso tutte quelle storie ho navigato sulla Flame Feather, mi sono tolta il cappello di fronte all’impiccagione di Charles Vane, sono stata maledetta dal forziere di Cortez e ho assaggiato il sapore della pelle di Anne Bonny.
Ecco, neanche venti righe e già parto in quarta con il sentimentalismo. Ora mi ricompongo.
Sceneggiatura e regia
Nella sua recensione, Laszlo ci informa che lo sceneggiatore è rimasto lo stesso per tutta la saga, Terry Rossio. Eppure su Wikipedia dicono diversamente: il quinto film sarebbe stato scritto da Jeff Nathanson. So che non è da prendere per oro tutto quello che scrivono su Wikipedia, ma onestamente voglio sperare in questo cambiamento. Perché il soggetto di Terry Rossio e Ted Elliot mi ha dato frasi come…
“Non è solo una chiglia, uno scafo con il ponte e le vele – sì, una nave è fatta così. Ma ciò che una nave è… ciò che la Perla Nera è in realtà, è libertà.”
“Belli erano i tempi in cui il dominio del mare non veniva da patti stretti con inquietanti creature, ma solo dal sudore della fronte e dalla forza della schiena di un uomo.”
Il copione de La vendetta di Salazar si presenta con una prospettiva più minimalista, esprime una concezione della sceneggiatura completamente diversa, per questo mi è facile immaginare che abbiano sostituito la penna. Troviamo frasi a tratti superflue, certe battute forzate che fanno sembrare la pellicola la parodia di se stessa.
Pirati dei Caraibi è, tra le altre cose, un soggetto divertente, ma non tanto per le barzellette quanto per situazioni improbabili che si legavano perfettamente – lo ripeto, perfettamente – con la trama principale. Non è ciò che viene detto, ma ciò che viene fatto. Agli sceneggiatori era affidato il compito di far sembrare i pirati affascinanti e strafighi, al regista non rimaneva che metterci in mezzo la ruota di un mulino per rendere più simpatici i duelli. Era questo a funzionare, questo io adoravo: impacci e sgambetti che volevano smontare la facciata epica dei pirati, piccoli colpi di scena con i giusti tempi comici. Mi hanno dato l’illusione di essere rimasti fedeli a questo modello, quando Jack è entrato in scena dormendo in una cassaforte con una donna sposata. Poi è tutto degenerato con un’intera banca che viene trascinata da una carrozza. Bah.
Già in Oltre i confini del mare il modello inizia a mancare, e noi ci accontentiamo di un Jack Sparrow che salta nel vuoto un paio di volte e ruba un dolcetto al sovrano britannico. E tocchiamo il fondo con il quinto film, dove i duelli sono misere inquadrature di colpi di spada e una parentesi inutile sulla polena di prua che prende vita. Sembrano aver concluso all’unanimità che al pubblico basta la storica soundtrack e una fuga saltellante in cui Sparrow si salva per un pelo – portandosi dietro una banca, appunto. Per il resto, non c’è un vero spessore nelle scene “d’azione”.
Citando VictorLaszlo, probabilmente il tutto è passato in secondo piano per l’attenzione data alla grafica. La polena sarà stata inutile, ma era visibilmente bellissima, stessa cosa vale per la scena della divisione delle acque. Sugli effetti siamo sempre 10 e lode, questo non è cambiato.
Salazar
Ora, i personaggi. Capitan Salazar non ha deluso soltanto Victor, anche io mi aspettavo molto da questo villain. Dal punto di vista estetico è eccezionale, ma semplicemente non basta. Se c’è una cosa in cui sono sempre stati bravi gli autori della saga è proprio creare un qualcosa in più nei cattivi, in modo che possano essere capiti un pochino dallo spettatore. Se io vivessi mangiando Philadelphia senza trovarne soddisfazione – come Barbossa con le mele -, sarei anche più cattiva di lui! Poi mi incazzo se la gente mi dà buca per un cinema, mi figuro se avessi solo un giorno libero ogni decade come Davy Jones.
Con quei personaggi si poteva empatizzare, invece da Barbanera sembra sia stato innalzato un muro invalicabile tra noi e gli antagonisti: non vi è più spazio per creare una psicologia credibile. Salazar viene maledetto, come viene maledetta metà della popolazione mondiale in quella realtà del XVIII secolo, ma conosciamo esclusivamente questo di lui. Infatti, dalla presentazione epica che avevano costruito nei trailer, mi aspettavo che lo facessero sopravvivere per il sesto film, quantomeno per darci modo di andare oltre la superficie.
La nuova coppietta
Con Henry e Karina abbiamo ottenuto risultati migliori della precedente coppia, ovvero l’emissario palestrato e la sirena, i quali sono usciti esattamente come arrivati: senza uno scopo.
Dacché mondo è mondo, agli ultimi arrivati si deve dare un tratto caratteristico, qualcosa per essere ricordati. Karina è una donna di scienza, e questo l’ho apprezzato, anche se alla fine del film le sue conoscenze vengono usate come una sorta di nuovo (nuovo?) modo per navigare: “Non abbiamo bisogno della mappa, seguiremo le stelle”, come se fosse possibile seguirle senza conoscerle. Ancora: sceneggiatura scialba.
Il tratto caratteristico di Henry a mio parere è un po’ – permettetemi il termine – paraculo. A conti fatti non è altro che il fanciullo onesto e coraggioso – ovvero Will Turner, ma perché è così? Beh, ovvio, perché è suo figlio! E potrei pure farmela andare bene questa spiegazione, se almeno la questione fosse stata gestita meglio.
Mi spiego: la Disney ha una lunga tradizione di sequel che sfruttano la progenie dei protagonisti per crearsi nuove trame. E devo dire che mi sono emozionata di più con la reunion di Peter Pan e Wendy, in Ritorno all’Isola Che Non C’è. Jack non è mai stato un tipo sentimentale, okay, ma una mini parentesi sui tempi andati io l’avrei messa. Fosse pure nel più cliché dei cliché: di notte, dopo una battaglia, guardando le stelle. Al posto dei banalissimi consigli su come flirtare con una signora, per esempio. Cribbio, mi sono sorbita Sparrow che sbava ricordando le inesistenti tette della Swann, almeno avrebbe potuto accennare un “Ho salvato tuo padre nel mio primo e ultimo quarto d’ora di umanità, quindi senza di me non saresti nato.”
Perché per me quello è stato uno dei momenti più toccanti della saga, nonché un colpo di scena che diventa il motore del quinto film. Scene del genere sono il motivo per cui ho apprezzato molto più i momenti di serietà, quelli di lacrime, piuttosto che i comici.
Hector Barbossa
Parlando di lacrime, ecco. Qui mi trovo in disaccordo con Victor, a mio parere Barbossa è l’unico che si salva – infelice scelta di parole, sentite il mio cuore che si spezza? L’ho trovato molto coerente con quello che è sempre stato. Nell’era di decadenza per la pirateria, lui riesce a trionfare, si crea la sua flotta, trova il modo di essere un pirata libero e potente pur concedendosi i lussi che apprezzava quando era in marina. Tutto l’ambaradan di dolcetti, quartetto di violini e teschi d’oro, era così da Barbossa! E soprattutto finge di sottomettersi a Salazar, ma solo per raggiungere la Perla Nera e avere l’occasione di combatterlo. Sarebbe stato facile e indolore eseguire gli ordini, ma Hector non segue gli ordini di nessuno.
L’ho amato dalla prima scena per ogni lato di quello che è, il cattivo e l’eroe, la canaglia e lo stratega, il fuorilegge con una classe impareggiabile.
E proprio lui dovevano togliermi.
“Cosa sono io per te?”
“Un tesoro.”
Voglio uccidermi.
I coniugi Turner
Arriviamo alla coppia storica della saga. Seppure io covi il mio odio per Elizabeth Swann da più di dieci anni, senza di lei e il suo uomo la trama cade a pezzi. Stanno in scena per cinque minuti in tutto e troppe falle lasciano dietro. Tipo: perché nessuno dei due va a cercare il figlio che si mette in pericolo di sua sponte? Perché Will non va per primo a cercare il tridente, visto che – anche a chiamarla maledizione – ha dentro di sé tutto il potere del mare?
E soprattutto: perché Will ha quello scoglio in faccia? L’Olandese Volante fa questo all’equipaggio che si rifiuta di traghettare le anime di chi muore in mare, quindi io mi chiedo cosa diavolo abbia fatto Turner per vent’anni se non ha adempiuto al suo ruolo, non ha cercato un modo per liberarsi dalla maledizione né ha aiutato Henry. Dice due battute in croce – di cui una è “Figlio!” – e sembra costantemente strafatto. Forse è con l’oppio che ha ammazzato il tempo, perché da eroe cocciuto e temerario è diventato un rincoglionito.
Jack Sparrow
Ho lasciato per ultima la più grande delusione. Al personaggio di Jack devo molto, è stato un grande amore dell’infanzia e un’altrettanto grande ispirazione, perché ho iniziato a scrivere fantasticando sulle sue avventure – le mie prime fanfiction, in altre parole.
E’ sempre stato un personaggio spassoso quanto indispensabile per gli eventi, un protagonista parallelo senza cui i due “buoni” avrebbero passato l’esistenza a guardarsi da lontano. Il capitano Sparrow riempie le giornate, nel bene e nel male ti fa vivere a pieno, ti mette in situazioni in cui neanche tu sai fin dove ti spingeresti, per ottenere ciò che vuoi.
Tutto questo, nel quinto film scompare. Scompare la grinta, la sagace e imprevedibile visione del mondo, quel ghigno luccicante che dà l’impressione che sappia dal principio come finirà la storia. Qui è solo un depresso pirata in rovina, che viene catapultato in una nuova avventura che non gli lascia nessun ruolo. Henry si imbarca per trovarlo, perché convinto che sia l’unico a poter spezzare la maledizione di Will, ma in effetti Jack non fa assolutamente nulla. Viene inquadrato, fa la sua battuta sconcia e poi si torna al vero film.
E quindi?
E quindi è andata così. Ero emozionata per questo quinto capitolo, il che non ha aiutato. Ma col senno di poi, sono dovuta scendere a patti col fatto che la vera saga è finita molto tempo fa, e con lei la mia infanzia. L’avrebbero chiusa alla grande con Ai confini del mondo, lasciando un sentore di eterna vita e avventura per tutti i protagonisti.
E soprattutto, anche se dirlo mi fa male su troppi fronti, gli attori per primi avrebbero dovuto dire no. Perché sono tutti così visibilmente stanchi – prendendo di nuovo in prestito le parole di Lazslo. Venite a dirmi che sono vecchi, ma non sono mica morti! E, cosa più importante, non sono finiti. Geoffrey Rush è un mostro di attore, ma ha bisogno del ruolo giusto, e portarsi dietro il fantasma di un personaggio che ha reso unico dieci anni fa non può fargli bene.
Stessa cosa, ahimè, vale per Johnny Depp. Sento molti dire che è arrivato alla frutta, che dopo Sparrow ogni ruolo datogli è stato una sua caricatura, ma non sono d’accordo. La maggioranza dei film per cui l’ho apprezzato sono venuti prima di Pirati dei Caraibi, è vero, ma per dirne una, con Sweeney Todd e Black Mass si è dimostrato bravo nelle vesti del cattivo. Ed è per questo che sono curiosa di vederlo nel sequel di Animali fantastici e dove trovarli. Ci sono altre facce di lui, oltre al furbo buffone, che possono essere sfruttate.
Ma in quanto a Jack Sparrow, è ora di appendere al chiodo il suo amato cappello a tre punte. Continuerà ad essere l’inestimabile ispirazione per i racconti che scrivo, quella sulla Perla Nera continuerà ad essere il mio ideale di vita. Ma come ho accettato la cancellazione di Black Sails, l’epilogo de La vera storia del pirata Long John Silver, come un giorno accetterò di scrivere la parola fine sui fogli in cui ho fatto nascere Red Crow, accetterò anche questo.
Anche se facessero un sesto film – e la scena post credits lo lascia intendere -, l’era di Pirati dei Caraibi è bella che finita. E immagino sia giusto così.
Ora, se non vi spiace, vado a piangere in un angolo.